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Villa del Nevoso

La scritta si leggeva appena sulla latta arrugginita che ancora resisteva sulla fiancata dell’edificio mezzo rovinato, che ci avevano indicato come la caserma degli italiani. IV Armée, diceva. Quarta armata…non era quella di Tito?

Ora mia madre era contenta. L’avevamo trovata finalmente! Qui c’era il cortile, dove sedevamo le mogli dei graduati, sopra abitava il comandante…E tu, mamma, dove abitavi?Non qui… e lo sguardo si volgeva sperduto verso il paese che giaceva in basso.

 Ilirska Bistrica, fonte dell’Illiria, mio padre una volta ce l’aveva detto. Per noi è stata sempre Villa del Nevoso.V’era giunta 

sposina, a guerra scoppiata, dalla Sicilia dopo un viaggio che si può immaginare. Arrivammo la sera a Trieste e tutta la cena, sai quale fu?, un uovo alla coque.

 E la casa, mamma? Tuo padre mi portò prima in una camera ammobiliata, la casa ce la diedero dopo, quando si liberò. I mobili li fece un finanziere, quell’armadio che c’è in soffitta.E come li recuperaste i mobili? Fu la donna di servizio. Si gettò in ginocchio, La signora mi ha fatto sempre del bene… poi tuo padre, a guerra finita, tornò e li riportò con la barca.

E tu niente ti portasti dietro quando scappaste? Avevo quella bella radio, nuova nuova, se la presero i partigiani slavi quando ci fermarono nel bosco.Quante volte l’avevo sentita questa 

storia. Sempre da lei. Mio padre era di poche parole e di quel periodo non amava parlare. Gli italiani li gettavano nelle foibe

.Io ero avido di particolari. Quando fu che scappaste? Non subito, non si sapeva niente. La notte i partigiani sparavano dal tetto contro i tedeschi. Avevano piazzato una mitragliatrice. Forse una settimana dopo l’otto settembre. Dopo l’atto di sottomissione.

Così tardi? Che incoscienti! Tuo padre s’era fatto fare una tessera di falegname, così partimmo di notte, sopra un carro con le nostre cose, insieme alle altre famiglie degli italiani. E tu con la radio. Si, ma ci fecero la spia, nel bosco ci aspettavano i partigiani. Volevano ammazzare gli uomini e a noi donne ci 

facevano la festa.E come vi salvaste?

 Qui mia madre s’è sempre confusa. Pare, così almeno raccontò una volta mio padre, che i nostri avessero promesso di passare coi partigiani una volta salvate le donne. Ma la ricostruzione è molto lacunosa. Come superarono i posti di blocco tedeschi?Fatto sta, qui la vicenda scorre, che riuscirono a giungere in Italia, e furono dapprima smistati nel campo profughi di Acqui. Poi mio padre si presentò al comando della Guardia di Finanza di Venezia, dove c’era lo zio Pasquale. Quindi… con la Repubblica di Salò?

E i partigiani? Dopo la nostra partenza arrivarono i tedeschi e bruciarono tutto il paese.

Meno male che la Slovenia è un paese tranquillo, pensavo, guardando il gran viavai di soldati. Ma non avevano fatto la pace? Anche prima, alla caserma, s’erano insospettiti vedendomi fotografare e m’avevano chiesto i documenti. Volevano anche sequestrarmi la macchina.

 Si, gli slavi non ci amano. E i motivi li sappiamo. Per questo m’ha commosso il vecchio incontrato alla stazione che parlava ancora l‘italiano imparato alla nostra scuola. Gli luccicavano gli occhi quando gli  ho detto il motivo della nostra visita.

E’ finita che la casa l’ho trovata da solo. Troppo stanca mia madre. L’ho riconosciuta da una foto dell’album di famiglia. Lei 

addossata a un muro, tailleur e borsetta, accanto a una finestra, che tiene per mano un bambino che non sono ancora io.

 Come si chiamava quel bambino, mamma? Non ricordo, finiva in ic, si chiamavano tutti così, i nomi finivano in ic. Sotto la finestra un arco, di quelli che danno luce a un vano seminterrato. La casa era stata rifatta ma l’arco e la finestra c’erano ancora.E c’era un fiume, mi ricordo, dietro casa. C’era infatti, un ruscello. Li avevano gettati qui i  fucili, le divise, le cartucciere…Il fiume se li portava via…

Potevo scrivere un romanzo con la mia vita.Quante volte l’hai detta questa frase, mamma… 

Al ritorno volli fare una deviazione. Alla foiba di Basovizza.

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Paolo Daniele è stato docente di Latino e Greco al Liceo “ Michele Amari” di Giarre. A questa scuola, dove ha studiato e insegnato per quasi tutta la sua carriera, ha dedicato parecchie delle sue ricerche, soprattutto profili di docenti e riflessioni intorno alla didattica delle lingue classiche, confluite negli annuari del liceo da lui curati. In quest’ambito è nato anche il suo interesse per il poeta Santo Calì, che all’Amari ha insegnato negli anni Sessanta. A Calì ha dedicato studi sia sulla sua attività nella scuola(”Santo Calì, il professore”, un’antologia di scritti composta insieme al preside Girolamo Barletta) sia sui rapporti della sua poesia con la classicità(“Santo Calì e il mondo classico”, in Atti del Convegno Nazionale di Studi, Linguaglossa, 16-19 dicembre 1982).

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