“Gioco di società” di Sciascia: la banalità del male nei rapporti familiari

Gioco di Società è una pièce teatrale tratta da uno dei più celebri racconti di Sciascia ,contenuti nella raccolta “Il mare colore del vino”. E’ stato portato in scena da Simone Luglio.
Il gioco che diventa paradigma dell’ “imbroglio” che domina il reale e che investe non solo la sfera sociale e politica, ma anche quella privata, familiare.
Ispirato ad un caso di cronaca nera capitato a Roma nel 1958. Un giallo in cui ,come in un innocuo,ambiguo e divertente gioco da salotto , si decidono le vite di due coniugi e di un sicario ,marionette delle Parche . Nanny Loy, nel 1989, ne trasse anche un film con Lina Sastri, Alessandro Haber, Mario Adorf ed altri attori. Doveroso ricordare anche la versione del 1971, per la regia di Giacomo Colli, con la splendida Alida Valli.
Gioco di società si presenta come un giallo sui generis, che si monta e si smonta, fino a produrre un inaspettato sovvertimento dei ruoli.In una guerra fredda in cui l’uno spia le mosse dell’altro , il potenziale assassino ,ovvero il marito diventa la vittima sacrificale, e la vittima, ovvero la moglie, con un furbo colpo di coda, si trasforma in spietata e algida mandante. Si avvale, infatti, di un prezzolato, tormentato sicario, che ci appare quasi umano nel suo essere un uomo sfortunato, e quindi facilmente manipolabile. Un giallo che riesce ad utilizzare con maestria e sorpresa molti linguaggi della contemporaneità, come la video performance art, e si avvale degli articoli di alcuni giornali d’epoca in cui Sciascia denunciava amaramente quanto facile fosse trovare dei sicari.
Una spietata critica alla società dei consumi che guarda, oggi come allora ,al modello americano, al mito dell’apparire e del possedere ciò che va di moda e ciò che ” il pensiero unico”dominante eleva a status symbol.
Un flusso di coscienza di joyciana memoria che sonda i più reconditi conflitti interiori, e ci accompagna per mano alla comprensione di ciò che trascina un’anima alla caduta.
L’epilogo spinge il pubblico a farsi giudice ed indagatore della società, caratterizzata dall’assenza di rapporti sinceri, cristallini, ma soprattutto induce a chiedersi quanto misuri in ciascuno l’idolatria del Totem denaro.