Italiani in Slovenia (1941- 1943)

Una storia di famiglia
La visione, ieri sera, del film “ Red Land (Rosso Istria)” ha ridestato, come sempre mi accade in circostanze del genere, ravvivate soprattutto da quando si celebra “Il giorno del Ricordo”, antiche memorie familiari: dei miei genitori, costretti a fuggire in maniera rocambolesca dopo l’8 Settembre da Villa del Nevoso, che così ha continuato sempre a chiamare, Ilirska Bistrica, mia madre. Di quella fuga e del viaggio che più di cinquant’anni dopo facemmo in quelle terre , riconducendola, io e mia sorella, all’antico paese e all’antica casa, ho già scritto qualche anno fa.* Oggi, dietro la suggestione del film, soprattutto la prima parte dove si descrive la vita di una famiglia italiana in una cittadina dell’Istria, una vita in apparenza serena, come tante, su cui incombe la catastrofe, son riandato al vecchio album di famiglia: a quel paesaggio innevato, alle gite in tandem, al bimbo sullo slittino, a mia madre incerta sugli sci…
Certo la Slovenia non era l’Istria: mentre questa vantava un’antica presenza veneziana che garantiva una continuità con lo stato italiano, la Slovenia era stata annessa all’Italia nel 1918, a Villa del Nevoso era stanziato un presidio militare italiano e, successivamente, uno tedesco. La coesistenza delle famiglie italiane, per lo più di militari, come mio padre, con gli abitanti del posto non dovette essere esente da attriti, diffidenze, sospetti. Probabilmente le frequentazioni si svolgevano in ambito ristretto, mia madre ricordava che le mogli dei graduati si riunivano nel cortile della caserma nei pomeriggi a cucire e chiacchierare; diceva anche di “aver fatto sempre del bene”, la povertà doveva condizione frequente in un paese di contadini e boscaioli, e a riprova di ciò raccontava di quella donna che le aveva salvato i mobili della casa abbandonata. Del resto in una foto si nota accanto a lei la presenza di una donna, che ha tutta l’aria di essere del posto, che trascina uno slittino con un bambino sopra, suo figlio. Mentre diverso è il coté delle due giovani donne che sorridono sul tandem, accanto a due uomini, uno in giacca e cravatta e uno in divisa di finanziere, mio padre. Due mondi paralleli, e al tempo stesso , in qualche modo, necessitati a incontrarsi. Ma quanto effimeri quei sorrisi delle giovani italiane…

“ Ilirska Bistrica, allora Villa del Nevoso. – ho ripreso in mano i “Microcosmi” di Claudio Magris – Allora, e cioè sempre, così come allora era Ilirska Bistrica, visto che i nomi non scompaiono, come si illude chi sposta una frontiera, bensì vivono tutte le volte in cui si narra la storia che è avvenuta quando quella persona, quel luogo o quell’orso si chiamava – e dunque continua a chiamarsi così…La foresta, dapprima austriaca, poi italiana, jugoslava e infine slovena, irrideva quel mutare di nomi e confini, non apparteneva a nessuno,; semmai erano gli altri che le appartenevano…I boschi del Nevoso erano un punto nevralgico della guerra partigiana; vi agivano piccole fulminee compagnie e vi si insediavano comandi importanti…Le caserme italiane a Morele e sul monte Aquila erano state abbandonate e distrutte. Alcuni soldati italiani si erano uniti ai partigiani titoisti, accorgendosi presto, a loro spese, che la giusta e fiera rinascita di una nazione oppressa dai fascisti stava trasformandosi a sua volta in feroce nazionalismo oppressivo. Vagando tra quei boschi alla ricerca dell’orso, era strano pensare al padre – o rispettivamente al nonno – che, al momento della disfatta, li aveva attraversati lasciando la caserma distrutta, per tornare a Trieste, in quei giorni in cui la vita di un uomo, su quegli stessi sentieri, non valeva più di quella di un animale.”
E qui mi fermo, su quei sentieri, attraversati, in una notte di paura, anche da mio padre e mia madre, su un carro con altri italiani, verso Trieste, verso l’Italia…