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La cultura e la pedagogia della flessibilità nel mercato del lavoro

La crescita del precariato in questi anni ha esercitato un ricatto implicito anche alla forza-lavoro garantita poiché chi ha un lavoro stabile per mantenere la propria occupazione, deve rendersi flessibile e malleabile, più disposto a scendere a compromessi per mantenere il lavoro. Le esigenze di massimizzare il plus valore è stato condotto in modo più sottile e profondo da parte del mondo capitalista che apparentemente si è umanizzato mentre in realtà ha pervaso di cinismo la logica del profitto. Quindi si è fatto in modo che il lavoro precario esercitasse sulle forze occupate una forte pressione a volte peraltro inconsapevole per costringere “i garantiti” a divenire flessibili.  

I precari sono sottoposti a mille ricatti che ne depotenziano,  annullano e rendono residuali  le loro capacità contrattuali e i loro diritti acquisiti, ora vengono anche valutati da chi un lavoro stabile come un pericolo incombente e destabilizzante per i diritti conquistati nel corso di decenni di lotte così da individuare nel “precario” non solo  un concorrente sleale ma persino anche un crumiro.

In tal modo la restaurazione liberista ha fatto il suo corso senza grandi ostacoli favorita dalla precarizzazione della forza-lavoro. Adesso sono sempre in atto fenomeni anche di mobilità della forza lavoro che molto spesso non sono assolutamente giustificati da crisi aziendali bensì dal capriccio di delocalizzazioni laddove vi è un basso costo della manodopera. Per affermare il concetto di flessibilità si è avviata nel tempo una capillare e intensa campagna ideologica politico-sindacale, che ha innestato elementi confusivi, manipolativi con contenuti persino di tipo apologetico. Si è proprio messa in atto una “cultura della flessibilità”, filosofia  sociale  che comprende anche la struttura logica del pensiero flessibile. Si è cominciato addirittura a riflettere sul modo in cui la flessibilità cognitiva, implementando la capacità associativa, influirebbe sull’estetica. La comunicazione flessibile viene teorizzata alla stregua di un pensiero che agevola lo sviluppo armonico di tutte le componenti della personalità, miracolosamente in grado anche di intervenire  nella soluzione dei problemi personali e organizzativi, per valorizzare, migliorare   il capitale umano creando valore nelle imprese. E’ sorta una vera e propria pedagogia della flessibilità che impartisca le dinamiche per gestire il cambiamento e per raggiungere l’eccellenza in ogni ambito professionale. Tali modalità consentano di elevare la qualità delle performance personali nel contesto sociale intriso di  complessità e incertezza

I grandi apologeti del lavoro flessibile, considerano il precariato una variante distorta della flessibilità, causata dalla discontinuità occupazionale e retributiva che impedisce di pianificare la propria esistenza. In tal senso il termine precariato indica la condizione di quelle persone che vivono, involontariamente, in una situazione lavorativa che contiene  due fattori di insicurezza: mancanza di continuità del rapporto di lavoro e mancanza di un reddito adeguato su cui poter contare per programmare il futuro e pianificare la propria vita . Naturalmente è molto peggio il cosiddetto lavoro nero e persino il fenomeno degenerativo dei contratti cosiddetti flessibili (part-time, contratti a termine, lavoro parasubordinato). La flessibilità ormai è applicabile sia a contratti a tempo determinato che a tempo indeterminato, avrebbe una connotazione neutra, se non addirittura positiva in quanto andrebbe identificata con la mobilità. I lavoratori non sarebbero più legati a tempo indeterminato al proprio lavoro, bensì potrebbero   mutare più volte professione e azienda nell’arco della carriera e sarebbero portati ad accrescere le competenze professionali e di conseguenza il livello occupazionale.

Alcuni studiosi ritengono molto labili i confini che separano la flessibilità dal precariato sia più teorica che reale. Essi ritengono difficile operare una netta distinzione tra i due termini, in quanto la flessibilità – eliminando diversi vincoli legali che regolano l’utilizzo e il licenziamento della forza-lavoro – avrebbe favorito la diffusione del lavoro precario. Il lavoro flessibile è generalmente legato a contratti meno vincolanti e costosi a livello previdenziale, in quanto rendono più semplice liberarsi della forza-lavoro divenuta superflua.

Il lavoro flessibile non è necessariamente precario, mentre quest’ultimo è necessariamente flessibile, in quanto si dà nel momento in cui i contratti flessibili si reiterano in una misura difficilmente definibile

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Marco Maria Patti "Commercialista e Revisore Legale" sin dal '91 esercita la professione, ha svolto diversi incarichi nell'ambito Giudiziale quale Consulente del Giudice presso il Tribunale di Catania e prestigiosi incarichi nel controllo Legale di Enti Pubblici e Partecipate. E' stato membro della Commissione Giudiziale dell'Ordine dei Dottori Commercialisti ed esperti contabili di Catania, oggi è membro della Commissione Enti pubblici e Partecipate dell'Ordine dei Dottori Commercialisti ed esperti contabili di Catania. E' membro della Commissione Nazionale CTU Civili e Penali del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed esperti contabili in Roma. Nella vita si è occupato di attività Sociale ed è presidente della Associazione Circoli di Critica Sociale, rivolta anche alla Ricerca ed è Presidente dell'Associazione Uniquique Suum. Negli anni ha rivolto i suoi studi alla ricerca del Vero, in particolar modo avviandosi nello studio dei tre pilastri della Forza, Bellezza e Sapienza cercando analogie nella cultura Abramitica del periodo che si collega alla Guerra contro i Re ed alla prefigurazione di Melchisedec.
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