Nino Milazzo, brillante narratore

Nino Milazzo, in realtà, voleva essere ricordato solo come un giornalista, come cioè un dispensatore di notizie, ma la notizia per lui non era solo un fatto di consumo, era presa di coscienza, punto di discrimine, impegno morale. Ne sono testimoni i suoi romanzi nei quali egli ha continuato a raccontare i grovigli politici internazionali della storia del ‘900 coniugandoli con i grovigli del suo cammino esistenziale.
Il suo primo libro, Un Italiano di Sicilia, pubblicato nel 2009 per i tipi della Bonanno ed iniziato a scrivere nel 1992, è un libro autobiografico dove questo groviglio esistenziale si sviluppa sin dall’infanzia sul filo della memoria. Nel libro Nino fa il punto della sua vita, così come evoca la copertina, ma esso è anche la cifra di quella melanconia sempre presente nei suoi racconti e per chi l’ha conosciuto anche nei suoi occhi.

La melanconia di Nino però non era tristezza ben che mai depressione, era quello che Francesco Merlo chiama, nella prefazione di questo libro, ‘rodio’; è cioè quel malessere comune a tanti giovani siciliani che si sentono diversi e al contempo fragili, è la difficoltà di essere siciliano nel mondo. È il ‘rodio’, aggiungo io, della isolanità di quel sentirsi inattaccabili ma allo stesso tempo vulnerabili, in ultima analisi è quella solitudine che conoscono solo i numeri primi schiacciati dentro l’isola della loro anima priva di ponti per congiungersi al mondo e a quella realtà che vogliono capire e raccontare, è la impossibilità di congiunge Scilla e Cariddi.
In questo libro Nino Milazzo si confessa, confessa le contraddizioni della sua sicilianità sospesa tra Nord e Sud, tra il richiamo della Sicilia e il rigetto della perifericità della vita, della quotidianità di questa Sicilia intrisa di conformismo che lo faceva sentire esule nella propria terra. A questa sua inguaribile sicilianità dell’anima Nino reagiva con la sua innata e raffinata eleganza, eleganza di sentimenti e di riflessioni colte. In questa terra bruciata dal sole e dalla salsedine votata al più volgare esibizionismo egli mostrava quel distacco tipico della più nobile delle aristocrazie nei confronti del successo e del potere. Nino era autorevole anche quando ascoltava senza parlare e senza rendersene conto ti faceva sentire sempre fuori posto.
Il rodio di Nino era dato anche dal travaglio di chi, cito, aveva subìto l’indottrinamento fascista con un inconsapevole senso mistico essendo nato sulle note di Giovinezza e cresciuto nell’incubatrice fascista.
Il suo cammino verso i valori della libertà e della democrazia furono dolorosi, così come dolorosa fu per lui la fine del fascismo. La disfatta del fascismo fu la disfatta della sua anima, di quei valori a cui aveva sinceramente creduto e che adesso doveva ricostruire. Tutto era da ricostruire perché il fascismo gli aveva negato il confronto, l’informazione, dalla sua gli aveva fornito solo autarchiche verità che non poteva controllare, né verificare.
Nella sua educazione gli fu negata la bellezza abbagliante della contestazione, e lungo la strada della costruzione della sua cultura liberale e laica troverà quel punto di equilibrio che gli consentirà di ‘aggiustare le sue idee’ senza operare lacerazioni e soprattutto si terrà lontano dall’abbracciare ideologie totalitarie. Ancora una volta Nino Milazzo si era tenuto fuori dalla storia e dal conformismo, non era diventato comunista, aveva semplicemente scelto di stare dalla parte della non –appartenenza!
Nel libro, Nino entra nella storia complessa di una città come Catania culturalmente disarmato, senza rendersi conto che quella città si era già arresa al potere criminale e che La Sicilia, quel giornale che lui tanto amava e che era luogo di privilegi, allargava sempre di più il distacco con la città, mentre avrebbe dovuto difendere e interpretare i suoi bisogni ed i suoi umori invece di alimentare il falso mito di Catania Milano del sud.
La Sicilia, Catania, con le sue contraddizioni e i suoi paradossi fatti di marginalità e insieme di creatività, di provincialismo cosmopolita, di luci e ombre, rimarrà per Nino la sua ossessione ma il Corriere gli era rimasto nel sangue! Così come la voglia di scrivere e di raccontarsi. Infatti nel 2014 pubblica per La città del sole L’uomo dei tramonti che amava la politica, questo testo è stato per Nino un pre-testo per ragionare sul presente, che in genere è quasi sempre frutto del passato.

Il libro di Nino Milazzo fa riflettere e si racconta già dal suo titolo! Fa riflettere i filosofi esistenzialisti sul perché della vita e sul susseguirsi dei suoi tramonti; fa riflettere i politologi sul significato della politica, fa riflettere tutti sull’importanza dell’amore, amore per il proprio mestiere, amore per la propria compagna, per gli amici più cari, quelli veri, quelli cioè che ti accompagnano e ti aiutano a comprendere, a comprenderti e a ritrovarti in queste riflessioni, in una parola il suo è amore per la vita.
Il libro di Nino Milazzo è tutto questo, è la storia della sua vita, di un uomo che ha vissuto intensamente la passione per il giornalismo, per l’amicizia vera, per la propria donna. Infatti, sebbene scritto in terza persona e sebbene i personaggi del libro descrivono degli archetipi quasi universali, il libro è certamente autobiografico, rappresenta la passione principale dell’autore: la politica, un amore difficile e tormentato.
Come studiosa di dottrine politiche ciò che maggiormente mi ha fatto riflettere leggendo il libro è proprio questo amore per la politica. Un giornalista, mi sono detta, ha il dovere di raccontare la politica non necessariamente di amarla perché oggi la politica significa solo gestione del potere, e Nino non amava il potere, amava la politica nel suo essere aristotelicamente scienza del governo per il raggiungimento del bene comune.
Quando ho presentato anni fa questo libro mi sono chiesta perché la politica genera queste passioni forti, ed ho cercato di dare delle risposte. Oggi ho riletto il libro di Nino Milazzo guardando all’uomo Federico-Nino meno al giornalista, e a quella sua scrittura piana, senza orpelli che negli anni dell’università, quando anch’io amavo la politica, mi aveva spiegato gli intrecci della geopolitica.

Enzo Biagi e Nino Milazzo
Adesso quell’uomo che amava la politica lascia il posto alla descrizione di una società che dietro i suoi salotti bene nasconde i perversi intrecci di faccendieri senza scrupoli.
Si è scritto che questo è un romanzo che attraverso la parabola esistenziale di un grande giornalista al tramonto della sua vita vuole sottolineare anche il declino della cultura occidentale. Dunque questo romanzo è solo una riflessione sulla vecchiaia, sulla sua solitudine, un romanzo che mette insieme successi e delusioni, pubbliche e private di una vita?
Io per la verità non l’ho letto in questa prospettiva, anzi questa mi è sembrata la più banale, la più ovvia.
Mi è sembrato che quel Federico quando la mattina si guarda allo specchio per rasarsi egli non vede alcuna ruga sul suo volto, Nino in qualche modo ci mette in guardia dal considerare il suo romanzo come un bilancio della sua vita. Anzi mi sembra che voglia dirci al contrario che la vecchiaia non esiste e quei tramonti al plurale sottolineano che in ogni fase della vita ci sono dei tramonti ed ognuno di noi è al tramonto di qualcosa.
In tutte le pagine del romanzo c’è la consapevolezza che il tramonto coincide con un rapporto diverso con la vita. Infatti a me sembra che tutti i personaggi del romanzo sono degli archetipi e in ognuno di esso c’è un po’ del personaggio Federico-Nino. È stato definito il romanzo della sua vita, lo è nella misura in cui in ogni angolo del libro, nel bene e nel male, Federico-Nino si ci riconosce.
Anche la città di Catania con i suoi salotti bene, con i suoi faccendieri, con i suoi intellettuali più o meno onesti, diventano dei simboli, delle finestre attraverso cui guardare il mondo.
Forse il tramonto di Federico coincide con il tramonto della cultura occidentale, con l’idea e con l’ideale di Europa ma ciò non significa che siamo giunti alla fine dell’Europa perché nel suo tramonto Federico ha scoperto un nuovo rapporto con la vita, con la vitalità culturale della moglie, ha scoperto un aspetto nuovo dell’amore coniugale, più completo e infarcito di più ingredienti, ha scoperto e ritrovato se stesso nella conflittualità dell’amicizia, di uno in particolare che di mestiere fa lo storico e che non crede più nella funzione vitale della passione politica, ma crede solo nella funzione vitale del suo intelletto, della sua mente!
Federico – Nino, è una sorta di antieroe che non si vuole adeguare al conformismo della realtà, di una realtà che ha messo sotto i tappeti persiani la gerarchia dei valori, e conscio di ciò si è rifugiato nel proprio io, nella sua coscienza critica.
Se qualcosa ci ha insegnato Federico è che la vecchiaia non è il nulla, è un diverso rapporto con la vita, è un guardare dal punto di vista politico con orizzonti diversi alle grandi questioni nazionali e internazionali.
“Io non ho paura dei tramonti, dice Federico nel romanzo, perché non ho paura della notte e non ho paura della morte” del resto, aggiungo io, astronomicamente il tramonto non esiste, il sole astronomicamente non tramonta mai.
I prigionieri di Sirte. Una storia al tempo del califfato pubblicato sempre per i tipi della Bonanno nel 2016è il suo vero romanzo. Qui Nino è un narratore puro.

Fino ad ora abbiamo visto nei suoi libri la sua vita intrecciarsi con le vicende internazionali e con la sua professione. Nei Prigionieri di Sirte attinge alle vicende politiche di quel periodo e attorno a queste vicende costruisce la storia di due fotoreporter siciliani free lance che vanno in Bosnia per un’inchiesta sulla diffusione del movimento jihadista e là vengono fatti prigionieri. Troppo colto però era Milazzo per lasciar credere ai lettori che questa è solo una storia che riguarda piccole relazioni e compiti giornalistici Ancora una volta il vizio per la politica estera lo conduce verso orizzonti più ampi.
Infatti, questo è un piccolo libro che nasconde un grande impegno rispetto ai fatti accaduti nel 2016 e cioè la pericolosità della minaccia posta da Deash, lo stato islamico, che con gli attentati a Bruxelles aveva dichiarato guerra al mondo intero mettendo a nudo l’inettitudine delle grandi potenze.
La minaccia dell’Islam che giganteggia nel vecchio Continente, è l’inizio di una nuova guerra di religione segna il passo verso un futuro che non siamo in grado di percepirlo nella sua drammaticità. Uno scontro di civiltà visto dalla prospettiva di un professore siciliano che vive tra Catania e Cortina che si porta dietro tutta la sua cultura di siciliano, cultura che ruota sempre attorno al pessimismo e all’idea della fine.
In Sicilia la cultura della fine è così radicata che tra la nascita e la morte trova spazio solo l’inesprimibile nulla per dirla con Ungaretti. Per sfuggire a questa logica, a questa trappola evoluzionista dove la vita ti ha escluso o meglio ha fatto a meno di te, non ti resta altro che la ricerca di Dio o il suicidio.
Uno dei protagonisti del romanzo, il suo Dio lo ha trovato in Allah e si è arruolato in Siria nell’esercito dei liberatori in nome dell’Islam. Se il Novecento di Milazzo era stato un orrore dietro l’altro, nel terzo millennio la violenza jihadista avanza come il deserto di Nietzsche. La fede cieca verso la religione è nemica del nostro tempo, ed il suicidio di Andrea, altro protagonista del romanzo, diventa una lezione di laicità, di libertà nei confronti di un popolo, quello siciliano che di liberale esibisce solo il suo rifiuto per l’altro.
Il piccolo romanzo di nino scandisce i tempi delle grandi paure del presente, di un mondo che si sta sgretolando e con esso porta via le nostre fragili certezze. Un libro che racconta l’angoscia di non saper capire fino in fondo il presente, e l’autore non si vergogna di ammettere i propri limiti. Angoscia per il presente e paura per il futuro, così Nino ritorna al suo primo romanzo dove nell’ultimo capitolo svela quest’angoscia per il futuro dell’Europa e intuisce che – cito – la periclitante supremazia degli Stati Uniti sarà bilanciata o addirittura annullata dalla potenza neozarista russa e dalla dirompente Cina. Si, caro Nino, ancora una volta hai saputo leggere i messaggi che già quasi 15 anni fa ci proiettavano verso l’era post americana.

Il suo ultimo volume, Il mio Novecento. Memorie del secolo breve del 2017 per Domenico Sanfilippo ed., è una raccolta di una cinquantina di articoli scritti tra il 1963 e il 2009 per la Sicilia e per il corriere della sera. La sua grande passione è stata la politica estera, ed ha dimostrato di essere un grande esperto di geopolitica. Nell’ultimo capitolo della sua biografia Nino si mette di fronte alle sue paure per il futuro.