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Il valore salvifico della scrittura e il battito della storia. Il Novecento di “Terra matta”   

Sembra di sentire ancora la Olivetti Lettera 22 con la quale, rinchiuso in quella “stanza tutta per sé”nella casa di Ragusa, il siciliano semianalfabeta Vincenzo Rabito, ogni giorno, ostinatamente, documentava una personalissima “controstoria” del Novecento, del suo “Secolo breve”, vissuto e sofferto con straordinaria intensità. Vincenzo Pirrotta porta in scena al  Teatro Stabile di Catania, dall’8 al 13 aprile, una nuova edizione dell’adattamento teatrale di “Terra matta”, l’omonima autobiografia postuma di Vincenzo Rabito, pubblicata nel 2007 per Einaudi e adattata da V. Pirrotta per il teatro già nel 2009.Lo spettacolo, coprodotto dal Teatro Biondo di Palermo e dal Teatro Stabile di Catania, oltre al talentuoso Vincenzo Pirrotta, che ne ha curato anche le scene e la regia, annovera gli attori Lucia Portale, Alessandro Romano, Marcello Montalto, con le musiche originali di Luca Mauceri (percussioni, elettronica, chitarra classica), Mario Spolidoro (organetto, chalumeau, chitarra), Osvaldo Costabile (violino, violoncello), con i costumi di Francesca Tunno e le luci di Antonio Sposito. Vincenzo Rabito era un contadino (successivamente operaio) di Chiaramonte Gulfi, nato nel marzo 1899 e morto nel 1981, che, pur essendo semianalfabeta, riuscì a scrivere le proprie memorie e divenne un caso letterario. Supportato da ferrea determinazione, ogni giorno, per sette anni, faticando sulla Olivetti del figlio, lasciò testimonianza della sua “maletratata e molto travagliata e molto desprezata vita”. Produsse una mole di 1027 pagine in fogli battuti con interlinea 0, con nessun margine a lato, quasi a voler disperatamente riempire di sé la storia, non sprecando nemmeno uno spazio – ricordo, orgoglioso nel precisare di aver raccontato solo la verità.

Dopo tempo, il figlio Giovanni, intuendone il potenziale, decise di far vedere la luce alle pagine del padre. Nel frattempo, Vincenzo aveva continuato a scrivere instancabilmente, riuscendo a battere un secondo memoriale, ancora più denso. “Terra matta” racconta le peripezie, le furbizie e l’estrema umanità di un uomo che ha dovuto ingaggiare una darwiniana lotta per la sopravvivenza, per affrancarsi dalla miseria e portare a casa la pelle, sin da quando, ragazzo del ‘99, chiamato alle armi a poco più di 16 anni, si ritrova catapultato sul fronte del Piave. Costretto a combattere una guerra che non capisce, vedendosi trasformato da contadino a macellaio di carne umana e a becchino, vede i corpi dei compagni caduti  ai quali non risparmia mai una croce di umana pietà, ma non si arrende mai. Nell’inferno della Prima guerra mondiale, poi del dopoguerra e poi del Fascismo e poi della Seconda guerra mondiale, costretto a subire e a inseguire il sogno del grande impero coloniale “di antare affare solde all’Africa”, in “uno miserabile deserto” per ben due volte, instancabilmente. In un affresco verista del Novecento, in mezzo all’ ipocrisia di “brecante e carabiniere”, tra i morsi della fame e il sangue di ogni guerra e di ogni dopoguerra, decide di fare un matrimonio combinato con una donna della piccola nobiltà decaduta e senza grana. Così transita nella storia con il passaggio da contadino a soldato e poi a borghese, come un novello “Mastro don Gesualdo”, molto più gravato e più ad ampio respiro, uomo doglioso e coraggioso nella sua ansia di riscatto sociale. Deve inghiottire bocconi amari, ma la quotidiana battaglia con la suocera malvagia (spassosissime, sulla scena, le liti con la “canazza” e gli inseguimenti farseschi) si rivela più dura di quelle sul Carso, e così decide di andare a lavorare in Germania con il carbone. Patisce i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Quindi, transitando negli anni ‘50, 60, ‘70 e ‘80, nell’amata Sicilia prepara il suo riscatto. Che è il riscatto di tutti coloro che hanno patito la fame nera. Rabito capisce che solo la cultura e la memoria possono salvare. Perciò scrive, scrive tanto, in un miscuglio strano e artificiale di siciliano e italiano, trovando sfogo e conforto in ogni sudata pagina. E se oggi noi tendiamo bene l’orecchio, nel ticchettio della sua Olivetti riconosceremo davvero il battito della storia. Ma continuiamo … “e terammo la vita”.

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Nata a Catania nel lontano 19..(il tempo è solo uno stato d’animo!), dopo aver conseguito la maturità classica si iscrive presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Ateneo di Catania. Si laurea in Lettere classiche con votazione di 110/110 “cum laude” e si immerge nel mondo del lavoro. Dopo aver vinto il Concorso a cattedra nel 2001 inizia ad insegnare presso i Licei. Partecipa a diversi convegni come corsista e come relatrice, cercando di tenersi costantemente aggiornata. Si occupa di temi e problemi della sfera umanistica, collaborando con diverse riviste. Appassionata di libri, ama dipingere, recarsi a teatro, ascoltare musica e suonare il pianoforte. Ama viaggiare, e la sua valigia è sempre pronta!

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