Intervista all’attore Enzo De Caro ” Il mio ‘Non è vero ma ci credo’ in versione anni ottanta

Al Teatro Metropolitan di Catania sarà in scena il 12 Aprile con doppia replica alle 17,30 e alle 21,00 e il 13 con un unico spettacolo alle 17,30, “Non è vero ma ci credo”. Un classico della commedia napoletana interpretato da Enzo De Caro e dalla Compagnia di Lugi De Filippo, per la Regia di Leo Muscato tratto dai tre atti unici scritti da Peppino De Filippo nel 1942 e prodotto da : “ Due Della Città del Sole” di di Gianluca Corcione che ha riscattato i diritti dalla famiglia De Filippo.
Trama
Gervasio Savastano, è un imprenditore sposato, e con una figlia Rosina. Vittima della superstizione è convinto che un suo impiegato : Belisario Malvurio, gli porti sfortuna, catalizzando su di lui energie negative, diventando così causa di problemi sia in Azienda che in famiglia. Fortunatamente c’è il giovane Alberto Sammaria, affetto da un’evidente gobba, che al suo apparire cambia positivamente il corso degli eventi. Tutto precipita quando Sammaria rivela a Savastano di essersi innamorato di Rosina e di volersi dimettere, quindi Gervasio deve confrontarsi con le sue paure e la superstizione che da sempre lo tengono prigioniero. Ecco le domande che abbiamo posto all’attore.
Lei sarà in scena il 12 e il 13 Aprile al T. Metropolitan di Catania con “Non è vero ma ci credo”, un classico della commedia napoletana tratta dai 3 atti unici scritti da P. De Filippo per la regia di Leo Muscato avete mantenuto la stessa lunghezza dei 3 atti con Muscato.
No, questo è stato proprio l’inizio del rinnovamento. Quando Luigi De Filippo si è reso conto di avere qualche problema di salute,quindi di non poter portare in scena questo spettacolo molto impegnativo dal punto di vista fisico, tenendo però molto a rappresentare suo padre Peppino, trovammo un punto d’incontro, io gli proposi anzichè tre atti di farne un atto unico, mantenendo però tutta la struttura della ps perchè :”Non e vero ma ci credo” è un capolavoro d’ingegneria comica che essendo perfetto non va toccato. Con Muscato abbiamo solo allegerito un poco la struttura dandone un ritmo un pochino più rapido, per cui diciamo che il nostro obiettivo è stato di far rimanre la tradizione con un pò d’innovazione.
Oltre alla riduzione in un atto unico il rinnovamento in cosa è consistito ?
Innanzi tutto nell’ambientazione temporale perchè sia Luigi che Peppino quando hanno rappresentato :”Non è vero ma ci credo” lo hanno sempre retrodatato di qualche decina di anni, quando lo ha fatto Peppino negli anni 50 lo ha ambientato negli anni 30 e Luigi che lo ha fatto negli anni 70 lo ha ambientato negli anni 50, noi abbiamo voluto rispettare questo vezzo dei De Filippo e l’abbiamo ambientato negli anni 80 che soprattutto per Napoli sono anni di grandi contrasti sociali, di estremo degrado ma anche di vetta d’ingegno soprattutto artistico. Proprio ieri è mancato il Maestro De Simone che in quegl’anni è stato uno di quelle voci che hanno ridato vita non alla vecchia Napoli ma a quella antica dando risalto al valore delle tradizioni culturali e popolari.
Quindi anche le musiche sono degli anni 80?
Assolutamente si.
E che musiche avete scelto, di chi ?
A Napoli negli anni 80, musicalmente parlando, coabitavano senza osteggiarsi M. Merola, P. Daniele, N. D’ Angelo, J. Senese. C’era tutta la varietà della multiformità culturale, caratteriale, linguistica musicale di Napoli. Questa guardandola a ritroso era una cosa veramente bellissima. In quegl’anni dove c’erano il teatro e la musica che cercavano nuovi sbocchi, sembrava normale che questi artisti così diversi, quasi antitetici, convivessero pacificamente, magari non si piacevano l’uno con l’altro ma ognuno pensava al suo lavoro, pensava a progredire sè stesso, a quei tempi sembrava normale, oggi sembra una cosa eccezionale che tante correnti di pensiero siano riuscite a convivere senza darsi addosso, dall’altronte è la buona caratteristica di Napoli il riuscire ad accogliere le diversità e anche noi nello spettacolo abbiamo accolto le diversità musicali d quegl’anni.
Lei interpreta Gervasio Savastano quali sono le caratteristiche di questo personaggio che avete voluto più evidenziare con Muscato?
Diciamo che questo prsonaggio si distrugge da solo è molto evidente anche nel disegno dei De Filippo, che quando in qualunque cosa si eccede si possono solo procurare danni, infatti quando una bonaria scaramanzia, che non fa male a nessuno, diventa superstizione intesa come scienza esatta, che non si può contraddire, che col tempo distrugge i rapporti personali, familiari, lavorativi, affettivi, come nel caso di Savastano, ecco quell’eccesso può solo procurare danni. Guardando quello che succede oggi diciamo che il buon Gervasio avrebbe messo i Dazi anche sulla superstizione.
Questa commedia infatti è un’ironica critica alla società…
Assolutamente, fatta in una città, dove la superstizione è una cosa molto presente, anche se non è una prerogativa solo Napoletana, e soprattutto fatta quasi cent’anni fa, in quel contesto è veramente geniale, molto avanti coi tempi con quest’autoironia prendersi in giro. Del resto come diceva Edoardo :” essere superstiziosi è da ignoranti, però non esserlo porta male”, se ne è uscito con un paradosso che acontentava un po tutti.
Parla anche della poca libertà di ognuno di noi, tutti ci sentiamo liberi ma abbiamo una libertà limitata dalle nostre convinzioni e da quelle degli altri.
In questo periodo, come dice lei, oltre alle nostre convinzioni, che fanno il loro bel lavoretto, ci sono anche le convinzioni altrui. Lo spazio di libertà di pensiero si sta pericolosamente restringendo. Oggi la superstizione da cui guardarci è principalmente, la capacità di poter distinguere la verità dalle credenze, diciamo che con le fake news e tutto il resto ci renderanno sempre più difficile capire cosa è vero e cosa non lo è, forse il grande pericolo della superstizione di oggi è credere che sia tutto vero, quando in realtà non lo è, bisogna vigilare sempre con maggiore attenzione alle fonti e al proprio pensiero.
In questo spettacolo è affiancato dalla compagnia di L. De Filippo, da quando tempo collaborate dato che l’anno scorso avete già fatto insieme “L’Avaro Immaginario” tratto da Molière e De filippo.
Abbiamo cominciato a collaborare con :”Non è vero ma ci credo” questo è il quinto anno che lo portiamo in giro, e poi l’anno scorso abbiamo fatto questo bellissimo esperimento che è :” L’Avaro Immaginario”, sulle tracce di Molière ma sempre anche dei De Filippo perchè era piaciuto sia a Luigi che a Peppino interessarsi di questo.
Il principe A. De Curtis in arte TOTO’attraverso la maschera che interpretava diceva quello che gli interessava, lei attraverso la maschera di Savastano cosa le interesserebbe dire?
Ci ha pensato già Peppino De Filippo con una drammaturgia veramente impeccabile, che fa divertire tantissimo ma si ride sulle tragedie di un uomo devastato dalle sue ossessioni e quindi credo che il suo pensiero sia proprio quello di voler dire vanno bene le piccole manie, attenzione a quando si trasformono in ossessioni che non lasciano più la libertà di pensiero e torniamo al discorso di prima.
In questa commedia quanto c’è di commedia dell’arte?
In questa commedia in realtà non tanto perchè è una commedia molto strutturata teatralmente parlando, la commedia dell’arte i De Filippo l’anno sperimentata in altri contesti. Questo ormai è diventato una specie di classico, perchè i classici che sono classici non si sa quando si scrivono, non credo che Omero o Dante sapevano che i loro lavori sarebbero diventati dei classici, avendo resistito all’usura del tempo, vuol dire che hanno toccato delle corde emotive ed umane che li hanno fatti sopravvivere in ogni epoca, non toccando invece più di tanto i contesti sociali, politici religiosi ecc… “No è vero ma ci credo” è un classico perchè mette a nudo la debolezza umana travestita con la forza, e in questo momento intorno a noi credo che abbiamo parecchi esempi di debolezze travestite con forza, prepotenze, molto pericolose.
C’è qualcosa che può accumunare “L’Avaro Immaginario “ con “Non è vero ma ci credo”?
Il percorso e l’amore per il teatro. I De Filippo erano famiglie teatrali, quindi raramente hanno diviso il lavoro del teatro da quello della scena. “L’Avaro Immaginario”, racconta la vita di questa famiglia di comici che da Napoli nel 600 partono per Parigi, ed è certamente una metafora anche di tutte le grandi famiglie teatrali. In “Non è vero ma ci credo” si vede invece una famiglia distrutta dalle fissazioni e dalle manie del suo protagonista che ad un certo punto dovrà rendersi conto di quanto gli costa questa sua cecità, deve accorgersi di cosa riesce a provocare attorno a sè con queste fissazioni.
Molti ricordano il Savastano interpretato da Peppino, lei cosa pensa di aver aggiunto di suo a questo personaggio?
No, Peppino se lo è cucito addosso e la sua interpretazione è assolutamente inarrivabile, diciamo che noi gli abbiamo dato più un clima leggero di squadra, di compagnia,quindi ognuno apporta quello che può nei limiti del possibile.
Se lei dovesse dare una definizione di Savastano quale sarebbe ?
E’ proprio a metà dei testi di Molière, lui è Malato e Avaro immaginario allo stesso tempo, però alla fine Peppino gli consente un riscatto, ecco perchè è una commedia e non una tragedia, potrebbe avere un epilogo tragico, e invece Peppino che vuole fare comunque la commedia gli consente di rendersi conto di quale strada terribile aveva intrapreso con queste sue fissazioni come succede a chiunque intraprende una convinzione e non si vuole muovere da quel pensiero, non accorgendosi di cosa può voler dire non confrontarsi, rimanendo sempre chiuso nella propria convinzione, mi sembra che basta guardare i telegiornali per capire :”Non è vero ma ci credo”.
Come dicevamo prima questo spettacolo lo mettete in scena già da cinque anni, quando e dove finiranno le repliche?
In realtà non finirebbero mai, perchè il teatro è una cosa molto artigianale, per cui quando c’è un lavoro che soddisfa il pubblico ed ha un buon esito di critica si autoriprodurebbe all’infinito, però bisogna fare anche cose nuove. Infatti per l’anno venturo abbiamo nuovi programmi , per cui io credo che il suo quinquennio potrebbe proprio fermarsi nei giorni di Catania. Il 13 chiuderemo questa bellissima e anche un pò inaspettata pagina che doveva durare pochi mesi e invece è durata cinque anni.
Questo testimonia che i teatri,al contrario dei cinema, anche dopo il Covid sono spesso tutti pieni?
Si, posso certamente testimoniare, che in generale, come dice lei, i teatri sono sempre pieni, perchè le persone hanno proprio voglia di un contatto diretto, quasi necessità di avere un contatto vivo e dal vivo ed è questo che rende il teatro immortale, sennò non sarebbe sopravvissuto alle guerre, alle epidemie, invece ogni volta il teatro si riprende perchè c’è quella magia dell’incontro che si rinnova ogni sera, anche se sono tante le nostre repliche, ogni sera è sempre come se fosse la prima, come per il pubblico che vede la prima, anche per noi ogni sera è come se fosse una prima e questa è una piccola magia.