Il feroce omicidio di Calogero Di Bona, vittima della ritorsione mafiosa

La vicenda umana di Calogero Di Bona , Vice Comandante del reparto della casa circondariale di Palermo, lascia sgomenti e senza fiato . Il 28 agosto 1979, dopo avere finito il suo turno di lavoro ,di De Bona non si seppe più niente, scomparve da Palermo. Di Bona, era nato a Villarosa un piccolo comune nella provincia di Enna il 29 settembre 1944, sposato con figli. Era entrato a fare parte del Corpo degli agenti di guardia nel 1964, fino a diventare maresciallo ordinario. Il periodo più lungo della sua carriera l’aveva trascorso presso il carcere dell’Ucciardone di Palermo.

Si venne a sapere da diverse fonti che l’ultima volta che venne visto era stato all’interno di un bar. Poi niente più notizie e così vengono informati Polizia e Carabinieri. Alle sei di mattina del giorno successivo una pattuglia di militari trova la sua auto parcheggiata in via dei Nebrodi, all’incrocio con via Alcide De Gasperi. Gli sportelli dell’auto erano aperti lasciando presagire un sequestro di persona.
Proprio il giorno successivo il povero sottufficiale avrebbe compiuto trentacinque anni. Si parlò immediatamente di un caso di “lupara bianca” espressione con cui si intendeva quell’atroce metodo mafioso per fare sparire coloro che venivano eliminati senza lasciare alcuna traccia. Il vento della calunnia soffiò come in tanti casi di mafia e fu dall’inizio chiaro un tentativo di depistaggio che avvenne tramite l’invio di una lettera anonima tesa ad alimentare il sospetto che il maresciallo Di Bona fosse addirittura vicino alla famiglia di San Lorenzo e che avesse accompagnato un mafioso italo-americano alla “Casa di cura Stagno”, per visitare un altro mafioso. Le indagini, affidate al giudice Rocco Chinnici, smentirono immediatamente questa falsa rivelazione anzi il valoroso giudice fece emergere il fatto che la misteriosa scomparsa di Di Bona era legata al suo ruolo di agente carcerario, funzione svolta da integerrimo servitore dello Stato, sempre pronto a fare il suo dovere senza compromessi ed ombre. Purtroppo le indagini si arenarono quando Chinnici venne ucciso per mano mafiosa il 29 luglio 1983, con un’autobomba al tritolo in cui morirono insieme al giudice i due carabinieri della sua scorta: il maresciallo Mario Trapassi, l’appuntato Salvatore Bartolotta e il portiere dello stabile in cui abitava, Stefano Li Sacchi. Si persero definitivamente le speranze di arrivare a conoscere la verità sulla morte di Calogero Di Bona. Soltanto nel 2010 i figli del sottufficiale si sono rivolti alla Procura di Palermo per far riaprire le indagini sulla scomparsa di Di Bona anche sulla base delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Onorato e di altri pentiti, i quali hanno raccontato con dovizia di particolari che l’agente fu sequestrato e ucciso nel giardino di una casa colonica, localizzabile nel quartiere Città Giardino a Palermo. Sulla base delle dichiarazioni è ora possibile anche ricostruire la dinamica del rapimento e dell’uccisione di De Bona. Gli autori del sequestro furono Salvatore Lo Piccolo, allora autista e killer di Riccobono nonchè suo braccio armato, e Salvatore Liga, detto Tatunieddu, i quali furono i responsabili materiali dell’omicidio.Dopo averlo torturato, lo hanno strangolato. Il suo corpo fu gettato nel forno, di proprietà di Salvatore Liga, che veniva normalmente utilizzato per gli omicidi perpetrati con il metodo della “lupara bianca”.
Si tentò di capire il movente e si accertò che proprio nei giorni antecedenti l’omicidio Di Bona all’interno del carcere di Palermo , il boss Michele Micalizzi e altri cinque mafiosi avevano pestato a sangue uno degli agenti della squadra di Di Bona. La cosa gravissima fu il fatto che la direzione del carcere non prese nessun provvedimento per i responsabili del raid. Partì una lettera anonima scritta da alcuni agenti della penitenziaria che denunciò l’accaduto alla procura generale e al giornale L’Ora. Il fatto divenne di pubblico dominio.
“Se fosse stato un detenuto qualsiasi, sarebbe stato subito isolato — si affermava in questa missiva — invece il bastardo, condannato a 20 anni per l’uccisione del nostro compianto collega Cappiello, viene trattato con i guanti bianchi”. Gli effetti di questa missiva si fecero sentire e scattò immediatamente un’ispezione ministeriale al “Grand Hotel Ucciardone”, come veniva chiamato beffardamente il carcere palermitano dov’era possibile per anni celebrare compleanni, onomastici e anche matrimoni. Per i mafiosi era uno smacco inaccettabile che poneva fine alla condizione di privilegio che vivevano dentro la prigione e per ritorsione rapirono Di Bona per sapere i nomi degli autori dell’articolo. In tal senso la Procura di Palermo ha individuato nel 2012 gli assassini del maresciallo, il quale in cuor suo intendeva riportare in vigore un’ accettabile livello di legalità all’interno del carcere Ucciardone.

Il Maresciallo Di Bona è stato riconosciuto “Vittima del Dovere”. Il 19 settembre 2017 è stato insignito della Medaglia d’Oro al Merito Civile alla Memoria questa motivazione:
“In servizio presso la Casa Circondariale di Palermo Ucciardone, pur consapevole del grave rischio personale, con fermezza ed abnegazione improntava la propria attività lavorativa a difesa delle Istituzioni e contro le posizioni di privilegio tra i reclusi, fra i quali erano presenti alcuni nomi eccellenti della locale criminalità organizzata.
Per tale coraggioso comportamento fu vittima di un sequestro senza ritorno che, solo in epoca recente, si è accertato essere culminato in un omicidio, di cui sono stati individuati e condannati all’ergastolo gli esecutori materiali, risultati appartenenti a cosche mafiose.
Nobile esempio di uno straordinario senso del dovere e di elevate virtù civiche, spinte fino all’estremo sacrificio”.
Alla Memoria di Calogero Di Bona è stata anche intitolata la Casa di Reclusione Ucciardone di Palermo.